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Materiali critici

 Allo scopo di stimolare l’invio di contributi testuali necessari a costituire le fondamenta del sopra auspicato Centro Studi Letterari Larmon propongo alcuni articoli (il cui titolo si riferisce all’autore principale dei materiali linguistici esaminati in un dato “paragrafo”) della prima parte di un mio saggio che – suddiviso per così dire in una sintesi linguistica e in un’analisi letteraria – ha per tema, come recita il sottotitolo, la narrativa materiale e civile del Novecento italiano *.

 

 

* La natura divulgativa e l'ambizione popolare del saggio mi hanno convinto a non appesantirlo con altri riferimenti testuali. Per questo ho deciso di rinunciare ad ogni indicazione bibliografica che non fosse talora, anche per i brani citati fra virgolette, solo quella del titolo dell'opera da cui essi sono tratti. Me ne scuso fin d'ora con gli autori che mi auguro abbiano la magnanimità di comprendere tale scelta. 

Dante Alighieri

 Questo lavoro si basa, come ho scritto altrove, sulla relazione fra la materia prima (la lingua) e il prodotto finito (la letteratura). Un rapporto inscindibile qui spartito, soltanto per motivi di studio, in due sezioni distinte. La prima – che presento in questa sede mediante una serie di estratti – tratta in modo succinto la genesi e lo sviluppo, l’evoluzione e il consolidamento della lingua italiana nelle opere prese storicamente in esame.

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Giovanni Boccaccio

Per la verità l’accoglienza del “volgare illustre” era stata preparata e sostenuta, come si ammette e celebra nel De vulgari eloquentia appena esaminato, alla corte siciliana di Federico II dove però, tranne qualche raro esempio di autentico pregio poetico, la sua pratica e la sua circolazione era avvenuta nella cerchia ristretta degli usi amministrativi e tecnici imperiali. Perciò la rapidità del consenso ricevuto ovunque da tale volgare è legata principalmente alla sua autorevolezza letteraria – riconosciuta perfino dagl’illetterati che trasmettendo oralmente le opere ne favorivano diffusione e successo – prima in campo poetico della Commedia alighieriana e poi del Canzoniere petrarchesco, infine in ambito narrativo del Decamerone boccacciano.

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Leon Battista Alberti

 In Leon Battista Alberti l’antinomica alternanza linguistica riguarda l’uso del volgare toscano e del Latino classico. In realtà essa è solo apparente e pertanto anche la sua soluzione risulta infine un falso problema. Infatti per lui, a differenza di Poggio Bracciolini come di Lorenzo Valla ed altri intellettuali del XV secolo, il confronto con il Latino doveva servire esclusivamente non a celebrarne la superiorità bensì a migliorare e a perfezionare a tal punto il volgare da competere con la grandezza della lingua antica. A maggior ragione se si guardava a cosa quest’ultimo – considerato null’altro che la corruzione del Latino – avesse regalato con l’opera delle cosiddette Tre Corone (Alighieri, Petrarca, Boccaccio).

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Pietro Bembo

 A superare sia le interminabili ed opinabili potenzialità letterarie scoperte dopo sia le svantaggiose differenze di allora per la conoscenza e l’uso di una vera lingua italiana comune concorse in modo decisivo, alla metà del Quattrocento, l’avvento della stampa. Un’invenzione che avendo per nascita e per fine la diffusione di testi più ampia possibile aveva l’indispensabile e urgente bisogno che fossero stampati in una lingua comune compresa almeno da chi sapeva leggere e scrivere.

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Galileo Galilei

 Fin dalla sua pubblicazione il Vocabolario degli Accademici della Crusca suscitò molte perplessità e attizzò svariate polemiche. Non per nulla nello stesso anno (1612) uscì l’Anticrusca di Paolo Beni nella quale l’esponente maggiore della cosiddetta corrente “modernista” s’opponeva – risentito giustamente per l’omissione del Tasso dai citati cinquecenteschi – non solo all’eccessivo sbilanciamento a favore dei suddetti grandi scrittori toscani il cui lessico risultava ormai antiquato ma criticava anche l’inclusione troppo ristretta delle voci più vive e attuali.

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Giacomo Leopardi

 Dopo avere ribadito […] l’indispensabile corrispondenza fra lo strumento e l’esito di ogni pensiero letterario è bene tornare tuttavia ai i materiali linguistici oggetto della prima parte di questo studio. Ripresa che s’avvia considerando le convinzioni che [...] Giacomo Leopardi aveva annotato più volte, nel giro di pochi mesi se non settimane o giorni, nel suo Zibaldone di pensieri.

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Edmondo De Amicis

 Ad accostare al piacere e al valore della lettura […] ci sono di certo le pagine scritte da Edmondo De Amicis nella terza parte de L’idioma gentile (1905) de Il periodo perfetto. Un testo illuminante sull’interazione fra la risorsa materiale (la lingua) e il risultato del suo uso (la scrittura) indispensabile a riconoscere l’autentico valore letterario, quindi civile, del testo narrativo. Ecco perché penso valga la pena riportarne qui sotto un lungo brano suddiviso in due parti.

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Autori vari

 Alla fine di questa prima parte del saggio intendo trattare, ovviamente dal punto di vista specificamente linguistico, le affinità di significato fra la “madre” di tutte le nostre leggi e la nostra “madre-lingua” regolata dalle norme che le sono proprie. Ed è singolare come anche storicamente entrambe abbiano avuto uno sviluppo comparabile.

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I seminatori di spavento

  In un mondo che affida sempre più il proprio dominio ad una viziosa videoludocrazia virtuale, mai troppo benemeriti sono i rari e preziosi inoculatori di paura. Impulso che, come si sa, è lo stimolo maggiore e più intenso in grado di ravvisare una situazione di pericolo imminente o, comunque, di grave minaccia (1). Tuttavia per non originare equivoci di generi letterari, oggi più che mai editorialmente redditizi (giallo, noir, thriller), occorre una precisazione sul titolo di questo articolo. Sebbene ripreso, pur nella forma plurale del primo nome, da un’espressione corsiva de L’ultima visita del Gentiluomo malato esso allude allo spargimento d’inquietudine che impronta, seppure con esiti letterari disuguali ricordati anche altrove, Il tragico quotidiano (1906) di Giovanni Papini. 

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