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(da INCHIOSTRO. La filiera di un racconto: LA CURA)

 

Il racconto "La cura" di Sauro Largiuni ha come protagonista un personaggio al quale vengono prescritte cure termali e per queste si reca in uno stabilimento per sottoporsi alle terapie e alla vita sociale a cui deve inizialmente acconsentire. […] Il protagonista sembra a prima vista non avere troppa urgenza di contatti umani in occasione di condivisioni sociali. Per esempio quando in una cena, la prima, viene sollecitato da un cameriere a prendere posto in un tavolo comune con altri selezionati clienti dell’albergo per relazionarsi e rendere più piacevole il soggiorno. Invece non gli si presenta nessuna occasione per uno scambio appagante, anzi più il tempo passa e più si sente in imbarazzo. Ne deriva una frustrazione che sembra andare oltre l’occasione conviviale, fino a voler testare la sua capacità di ascolto e di essere ascoltato da persone sconosciute che avrebbe potuto incontrare in una passeggiata o, comunque, durante la ricerca di una comune motivazione a socializzare ma che purtroppo rimane insoddisfatta. […]

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(indivisibili)

Dunque il mio responso è questo. Vado in libreria, prendo il libro lo sfoglio e capito a caso su un capitolo senza dialoghi o di ponte: non lo compro. Lo intenderei come un libro pesante, lento, mancante di ritmo. Cado su un capitolo arricchito con dialoghi e descrizioni minuziose: lo prendo.

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(indivisibili)

Conclusioni (su Frana) - Il valore della singolare capacità descrittiva finisce per essere un ostacolo alla lettura. Non si riesce a orientarsi, a mettere a fuoco l’intero affresco. Come diceva Léger “troppo colore nessun colore”. Una pregevole qualità di scrittura che si muta in intralcio alla struttura narrativa del romanzo, innescando quei depistaggi che avevo segnalato anche ne Il Falconiere e sui quali insisto reiteratamente, e fino alla noia, in molte annotazioni.

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(il falconiere)

Innanzitutto il piacere di ritrovare […] la naturale capacità di minuziosa descrizione e di leggero accompagnamento della narrazione, con la destrezza e la sensibilità che conduce il lettore letteralmente sulla scena del racconto (le prime pagine dell’atterraggio e l’arrivo di Enzo e Jacopo sono, a tal riguardo, due pezzi pregiati, ma includerei anche il finale che […] ricorda atmosfere bergmaniane del Natale di Fanny e Alexander […] Tutto ciò malgrado […] un forse eccessivo uso della forma stilistica “ad incisi” che in alcuni frangenti rischia di interrompere troppo il racconto, costringendo il lettore a collegamenti – anche visivi – complicati. 

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(il falconiere)

[…] Ho particolarmente apprezzato la forma, più lineare e diretta rispetto ai precedenti ossia […] una scrittura meno faragginosa che rende efficace certi passaggi molto belli e interessanti.

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(il falconiere)

[…] Trovo più di qualche frattura nella direzione cosiddetta narrativa. Nella storia, insomma, una sorta di depistaggio narrativo fatica a chiudere il cerchio. E con esso un di più di rivisitazioni di fasti mitologico-trimalcioneschi e di una nobile ritualità federiciana che cozza, per me, con certi flash del nostro quotidiano (ad esempio, per intenderci, i loculi degli alberghi giapponesi).

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(il falconiere)

Prosa notevole, a mio avviso, quest’ultima, per la cruda attualità e l’impietosa denuncia del barbaro sistema economico di sfruttamento del prossimo e dell’ambiente che governa il mondo e la società contemporanei. Gli archetipi del capitalismo postliberista (denaro, potere, sfruttamento, egoismo, amoralità, piacere…) e le sue interdipendenti dicotomie (ricchezza-povertà, finanza-lavoro, eletti-reietti, libertà-prigionia, ragione-cuore…) sono metaforizzati con plastica efficacia nella vicenda del berlusconiano don Rodrigo protagonista, dello sventurato falconiere Enzo e di suo figlio Iacopo.

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