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Dialoghi terminali

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sauro largiuni è nato a San Giovanni V. no (Ar) nel 1953.
Ha pubblicato per una guida letteraria (2001).

Chi legge questo libro si trova di fronte alla coraggiosa sopportazione del tragico presente da parte dei protagonisti dei dialoghi. Questo non significa però che essa riesca a sanare ferite personali né quelle inflitte dagli uomini alla loro specie. Una semenza ammalata di benessere il cui unico fine pare essere la propria fine. Una genia le cui relazioni autentiche sono ormai ridotte al lumicino (terminali appunto se non già postume) e sulle quali, soffermandosi sulla copertina, sembra dilagare, avventarsi e freddarle al suolo la lastra tombale del pavimento. Lapide su cui s’allunga l’ombra sicaria del puntale d’un ombrello. Se non la stessa almeno molto simile a quella «lunga di un albero che pareva aspettare il momento buono per conficcargli alle spalle, tra le costole, la sua lama scura e affilata» con cui si chiude l’ultimo dei dialoghi terminali. Opera che, rifacendosi al modello delle leopardiane Operette morali, è fatta di tre variazioni su un unico tema: la condizione umana contemporanea.

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Dialogo degli alberi

[…] Comunque fosse il vecchio era adesso sulla via del ritorno la quale passava d’abitudine dal lungo viale alberato per anni vanto verde, con la folta pineta lungo il fiume, della sua città. Un tempo ma non ora visto che entrambi erano in pessime condizioni. Anzi, proprio il viale che apparentemente era sembrato essere il più sano dei due nelle ultime settimane aveva patito un deciso e vistoso tracollo, tanto da richiedere il taglio urgente di gran parte dei suoi alberi. […] Tuttavia lo strazio di ciò che osservava doveva essere assai superiore alle sue forze se poco dopo, malgrado un paio di tuoni più vicini e il chiacchierio delle poche persone presenti, si addormentava. Tanto placidamente e profondamente quanto all’improvviso era subito udibile lo strano dialogo fra due alberi. Per la precisione tra una delle due coppie di antichi tigli sopravvissute all’indifferibile e devastante taglio.

«Finalmente, adesso che è tutto finito,» esordiva il tiglio più tozzo dal limitare della grande strada trafficata attorno all’ampia rotatoria davanti a uno dei ponti cittadini «possiamo parlare fra noi».

«Sì, ora che siamo rimasti in pochi,» proseguiva l’altro tiglio più slanciato e prossimo al viale alberato «penso valga davvero la pena farlo».

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Dialogo degli amici

alla memoria di Giuseppe

  Primo amico: «… a meno che non si voglia inutilmente sfuggire a ciò che non si può perché, purtroppo o per fortuna, è l’unica cosa che si sa fare e resta tale anche quando la gravità del mondo contagia la vita rendendola talora com’esso intollerabile. E quando questo peso si rende talmente insopportabile da disprezzare e bandire la solitudine e il silenzio – vinti nel frattempo da un irremovibile ed esteso isolamento – allora diventa spesso inevitabile pensare all’unico rimedio. A domani e… grazie» congedandosi e spengendo il cellulare.

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Dialogo del frate e dell'imperatore

  […] FRATE: 1 «Vieni, Federico.» lo accoglieva con fraterna confidenza e la testa poggiata su una grossa pietra scura «Entra, e scusami per la penombra cara e necessaria ai miei occhi. 10» aggiungeva spostando in avanti un po’ il capo e, dopo avere accostato la schiena al ruvido masso, invitandolo amabilmente ad avanzare nella semioscurità agitando lentamente un paio di volte una mano.

  IMPERATORE: «Non ti preoccupare, Francesco.» ricambiando con garbo la confidenzialità con il tono affabile della voce «Spesso nelle torri dei miei castelli seguo gli astronomi nelle loro osservazioni notturne del cielo. 11» accomodandosi sul cuscino di lana grezza d’un frusto sedile di legno «Sono quindi abituato al buio della notte e alla luce delle stelle.» adattando gli occhi al fioco chiarore della stanza e, levandosi la corona posata in grembo come il fodero con la spada, anche tutta la sua persona alla cella.

 

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