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In questa sezione sono presenti sia testi di occasione (presentazione di libri, convegni, conferenze) sia scritti per la pubblicazione a stampa oppure on line (periodici, riviste).

Il siero futurista

(testo dell’intervento alla Biblioteca della Galleria degli Uffizi di Firenze) *

   La lettura del libro “Lucio Venna, il siero futurista” e sopra tutto la sua presentazione qui e in questa città mi hanno offerto lo spunto per qualche considerazione premeditata che, per sveltire i tempi e non rubare troppo spazio a altri interventi, ho deciso di mettere per iscritto.

 Innanzi tutto è circostanza davvero singolare che un libro su un artista del Futurismo venga presentato in una biblioteca e, per giunta, in quella di un museo. Sia cioè tenuto a battesimo (e questo, beninteso, va a merito degli attuali padrini) in uno di quei sepolcri passatisti che le pattuglie di Marinetti avrebbero voluto violare e far volare in Arno.

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Necrofanie

Testo per conferenza

Questa relazione si rifà, quasi integralmente, al mio intervento pubblicato negli atti di un convegno letterario di qualche anno fa (onde di terra, percorsi nel paesaggio letterario della Toscana, p.p. 67/72, Firenze 2001). Un testo tratto dall’introduzione a un libro non più in corso – come affermava allora la nota – tuttavia ancora inedito nel quale ho inteso raccontare in maniera volutamente infedele territori, paesaggi, luoghi e manufatti italici. Una guida letteraria che si propone di scorgere e annodare, là dove sia possibile, i fili correnti fra alcune civiltà ed epoche italiche. […]

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Parole

(relazione al convegno La scuola come luogo d’incontro di lingue e culture)

   Vivo di parole ma non ci campo. Tuttavia le conosco abbastanza per sapere che s’incontrano quasi sempre infischiandosene della scuola. Tanti sarebbero gli esempi ma qui ho scelto, ricollegandomi al tema trattato da chi mi ha appena preceduto, zuccotto e moscato. 

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Incontro con il libro

(nota per “Incontro con il libro” al Ridotto del Teatro Garibaldi di Figline Valdarno)

 

  Se qualcuno ha già letto dialoghi terminali troverà alcune differenze con la sverza, adattata alla circostanza, appena letta. In compenso avrà avuto modo di sgombrare ogni dubbio circa il titolo. In particolare sull’aggettivo di cui alcuni amici mi hanno fatto rilevare il vago senso necrofilo che evidentemente non ha condizionato chi è presente stasera e che ringrazio.

 

  In realtà si tratta di cosa ben più seria la cui gravità è segnalata fin dal titolo iscritto in una sorta di toppa ad uno strappo, di tampone di un’emorragia, di lapide stesa su una vita senza scampo e su un mondo senza rimedio.

 

  Un’indicazione sepolcrale richiamata anche dal resto della copertina dove scaglie umane deambulanti accentuano possibilità d’incontro, forse di dialogo, solo casuali e sfuggenti. Perciò minime eppure ricorrenti quindi ancora più strazianti.

 

  D’altronde la coraggiosa sopportazione del presente da parte di qualche raro e prezioso individuo (esemplificato nel libro dai protagonisti dei dialoghi) non significa necessariamente che possa sanare ferite personali né quelle inflitte dagli uomini alla loro specie.

 

  Una semenza il cui unico fine pare essere la propria fine. Una specie le cui relazioni autentiche sono ormai ridotte al lumicino (terminali appunto) e sulle quali, tornando ancora alla fotografia della copertina, sembra dilagare, avventarsi e freddarle al suolo proprio la lastra tombale del pavimento su cui si allunga l’ombra di puntale d’un ombrello. Se non la stessa almeno molto simile a quella (cito dal libro) «lunga di un albero che pareva aspettare il momento buono per conficcargli alle spalle, tra le costole, la sua lama scura e affilata» con cui si chiude l’ultimo dei dialoghi terminali.

 

E anche questa serata se nessuno vuole intervenire.

31 I 2004

 

Presentazione Il Congedo

(nota per presentazione/libro alle “Scuderie” del Palazzo Comunale di Radicondoli)

 

Dopo quanto è stato letto, visto e detto ben poco ci sarebbe da aggiungere per “conquistare” il possibile lettore de IL CONGEDO. Tuttavia vorrei soffermarmi su un aspetto – quello specificamente urbano – caratterizzante questi racconti come tutta la mia narrativa.

 

Naturalmente per spiegare le origini di ciò potrei rammentare di essere nato e cresciuto in un luogo che, per la presenza di una ferriera i cui chiodi sono serviti forse a ferrare per anni anche i cavalli di queste scuderie, ha accelerato in poco tempo il suo passaggio da paese agricolo a cittadina industriale oggi in stato comatoso.

Questo però conterebbe ben poco se quegli anni non fossero stati decisivi per la mia gioventù apprendista. Sopra tutto perché allora ho potuto frequentare sia la biblioteca del circolo ricreativo aziendale sia quella comunale dove ho incontrato, prima che potessi permettermi di portarli e trattenerli in casa mia, i libri che hanno strutturato il mio pensiero e più tardi modellato e scolpito il mio stile letterario.

 

Con ciò intendo ribadire che è dalla letteratura che si è sviluppata – e continua a farlo – la mia narrativa. Da una letteratura che s’inaugura nel Trecento quando la lingua volgare si fa eloquente e critico strumento civile a tutti gli effetti. Una letteratura che poi nel Novecento è stata – almeno quella secondo me più importante – prettamente metropolitana. Specie fra le due guerre mondiali quando in una sorta di lucida e attiva convalescenza ha prodotto, sopra tutto in area centro-europea di lingua tedesca, le più notevoli interpretazioni ed espressioni del proprio tempo di crisi. Ed anche, al contempo, gl’indispensabili strumenti d’indagine per chi – sconfitto dall’attuale latitanza di ogni coscienza critica – si ostina a volere una vita vera, fatalmente spoglia ma non straziata e messa al bando dall’irrimediabile trionfo di un mondo tanto perduto quanto capitale.

 

Radicondoli, 31 VII 2005

 

Politiche (N)eurolinguistiche

 

Questo breve testo è un contributo al dibattito sulla relazione fra la materia prima (la lingua italiana) e il prodotto finito (la letteratura italiana).

 

Un rapporto assurto a questione secolare periodicamente rinnovata se si considera la storia linguistica e letteraria nostrana. Un percorso segnato, come si sa, da una felice “anomalia” o feconda contraddizione incarnate da Dante Alighieri che, dopo avere condannato nel De vulgari eloquentia tutti i volgari italiani compresi quelli toscani, ha usato magistralmente le parole del fiorentino nella Commedia. Con ciò ponendo le basi e avviando la crescita di quella comune lingua “nazionale” – l’Italiano – che nel Cinquecento ha ricevuto gli impulsi normativi necessari a farne un «valore identitario, particolarmente importante in assenza di una unione politica del paese».

 

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