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Il bambino prodigio

 Se non il ridicolo certo l’istrionico (rinvio alla novella Il pagliaccio come il pianoforte seppur adesso strumento di compiuta e precoce affermazione personale) contrassegna l’attacco de Il bambino prodigio (1903). A tal punto che la possibile condanna emessa con tanto di esclamazione alla fine de Il pagliaccio qui non solo riecheggia ma si avvera concretamente nelle prodigiose doti musicali del protagonista infantile. Un personaggio [che] appare subito come un miracolo laico fin dall’entrata nella sala del concerto («Il bambino… silenzio»).

  […] Un’occasione irripetibile per la mirabilia della quale – preannunciata dallo studiato “abito di scena” e sottolineata dall’aspetto del bimbo prodigio – non si rinuncia anche allora ai più frusti espedienti («Dimostra… o no») né alla connivenza del pubblico pagante. Ovvero della gente, di tali mezzucci da sempre esperta poiché ad essi devota e abituata a praticarli in continuazione, di solito per sopravvivere e dunque indubbiamente a ragione («Neppure… di gente!»).
 
 […] Un uditorio di cui peraltro il narratore, profittando delle note catturanti l’udito ma liberatrici dello sguardo, offre con la sala di un lussuoso «albergo alla moda» una rappresentazione come al solito esemplare. Un’eccellenza narrativa che sposandosi all’abilità stilistica genera, al termine della panoramica della sala e degli ascoltatori paganti, un ulteriore momento di scarto del racconto.

[…] Forse però questo passaggio narrativo si dilunga un po’ troppo. Tuttavia certe opinioni personali – tenute rigorosamente private – hanno l’indubbia funzione di evidenziare un altro tema centrale della poetica manniana: lo stato dell’artista del suo tempo. Una condizione attraverso cui Thomas Mann ha magistralmente raccontato con la parabola discendente dell’intellettuale il declino del mondo borghese – e di conseguenza dell’individuo ad esso legato – tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
 
Perciò non è un caso che la teoria dei “pensieri segreti” sia conclusa qui dalle congetture del critico musicale. Figura che rappresenta il necessario distacco indispensabile a valutare in modo obiettivo la qualità del compositore e il valore dell’interprete ma incarna anche l’assoluta mancanza della grazia sorgiva e del talento naturale caratterizzanti i veri poeti di ogni disciplina artistica. Perciò egli risulta incapace di trattenere e celare l’astiosa insofferenza e l’invidia sottesa che ne conseguono.
 
[…] Tuttavia ciò non gli impedisce […] di richiamare interrogativi («Che cos’è l’artista?») e risposte («Un pagliaccio») già affrontati e date nel racconto precedente. Rimandi conclusivi a Il pagliaccio che avviano al termine anche Il bambino prodigio. Un finale composto essenzialmente di tre momenti da esaminare a uno a uno per vagliare in modo sufficientemente completo il significato generale dell’epilogo stesso di cui tutti e tre concorrono ovviamente a formare l’organica struttura unitaria.