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Il ladro

L’attesa fatale della predizione che concludeLa muta inaugura invece il principio inquieto de Il ladro. Infatti all’impazienza del ladro [«Da due ore… nella cantina […] non andava… quella gente?»] l’autore contrappone la perseveranza di chi, seguitando sopra lui a muoversi, gl’impedisce di compiere il furto.
[…] In effetti ciò serve anche a presto qualificare il ladro [«era un novellino»] verso il quale non c’è alcuna benevola commiserazione da parte del narratore. Anzi, egli ne esclama perfino la manifesta inettitudine che gli fa scoprire solo tardivamente la realtà autentica della situazione. Ovvero che nella «vecchia casa» si muove parlando un unico individuo padrone [«Ecco… signore»].

Una rivelazione che se da un lato dovrebbe confortare il ladro dall’altro, invece, innesca subito interrogativi tanto scontati quanto inquietanti che lo spingono comunque a decidere di voler sapere tutta la verità.

[…] Il ladro incomincia così l’ascesa verso l’esterno della cantina. Una risalita breve in cui ai dati visivi presto s’impongono ancora una volta quelli uditivi, al momento più utili a dilungare l’attesa e più vantaggiosi dopo a dilatare l’impatto della parola monologante – e con essa il significato vero e pieno del racconto – del padrone di casa.

Tuttavia, una volta usato l’orecchio scoraggiante, l’occhio torna a rivendicare i propri diritti e con essi il coraggio [«mettendosi… visti»] di scoprire e di sapere la verità [«Il ladro guardò dunque»]. Certezza tiranna che in un primo momento appare al ladro singolarmente speculare a lui [«passeggiava… grigi»], anche se la sua incarnazione umana [«quest’uomo… in due»] non pare accorgersi della sua presenza.

[…] Improvvisamente però il rispecchiamento sembra farsi più grave e sicuro [«Attraversato da un orribile sospetto»]. Il bisogno e l’indigenza che hanno spinto il ladro in quella casa paiono congiungersi e farsi compari della suprema solitudine e dell’isolamento assoluto del suo padrone. Di conseguenza la “tirata” successiva di quest’ultimo (tocco geniale di Landolfi che all’interlocutore inesistente sostituisce un parlante udito da un ascoltatore tanto presente quanto intruso ma non certo invisibile) non è altro che il resoconto di un pessimo bilancio esistenziale.
 
[…] Un fallimento che coinvolge non soltanto i personaggi del racconto ma tramite loro due l’individuo in genere [«Sei vecchio… carogna»].
Una condanna senz’appello e per sempre dell’uomo. […] Un castigo comunque utile visto che, principiando con ciò l’epilogo del racconto, esso serve alla coppia di protagonisti non soltanto a scoprirsi a vicenda ma a riconoscere l’uno nell’altro il medesimo tragico e universale destino. [«Uno dei due tese le braccia, l’altro vi si buttò senza ritegno; il signore e il ladro s’abbracciarono piangendo, singhiozzando come bambini. E quelle lacrime non volevano finire, esse scorrevano scorrevano, e lavavano i loro volti, erano una consolazione per i loro cuori»].