ALLA REDAZIONE DELLA RIVISTA S.M.S
Nel proporre questa prima bozza della rubrica parole (riflessioni linguistiche e invenzioni letterarie) penso sia opportuno, per correttezza di rapporti e chiarezza d’intenti, discutere alcuni aspetti e stabilire determinate condizioni indispensabili alla pubblicazione della rubrica nella rivista. In breve si tratta di questo.
1) Lo spazio necessario alla rubrica fissa è di una pagina (secondo il numero di righe, il carattere e il corpo di stampa previsti nella “gabbia” tipografica).
2) La responsabilità e la cura, sia testuale sia grafica, della rubrica è esclusivamente mia.
3) Tutto quello che compare nella rubrica resta di mia proprietà.
4) Il mio ruolo all’interno della rivista è di collaboratore e legato unicamente alla cura e alla redazione della rubrica.
Fin qui le condizioni richieste. Ora passo a indicare la nota delle parole (suddivisa fra quelle pronte e quelle previste) che vorrei presentare nel corso del tempo in parole. Prima però vorrei riaffermare che la scelta della parola presentata di volta in volta nella rubrica intende sottolinearne – secondo il programma proposto e la linea della rivista – la presenza o la scomparsa in ambito territoriale, nonché i più ampi sviluppi storico-culturali, privilegiandone infine usi ed esiti letterari.
Dunque le parole pronte sono le seguenti:
- ARNO (con la quale incomincerei la rubrica nel numero 1 della rivista);
- BEFANA;
- LAZZARO;
- SCIAMANNO;
- ZOCCOLA.
Quelle previste – di cui alcune sono già a buon punto – sono queste:
- ARENGO *(aggiunta dopo la data a pie’ pagina)
- BAZZA;
- BRUZZICO;
- CIANTELLA;
- CIMBELLO;
- FASTELLO;
- FULENO;
- GUAZZO;
- LOCCO;
- RIBUTOLARE;
- RONCHIARE;
- TROCCOLO ... ed altre.
San Giovanni V.no, 2002 III 20
ALLA REDAZIONE DI S.M.S.
Poiché la redazione mi ha chiamato a discutere dell’aspetto grafico della rubrica parole – di cui presento qui la bozza definitiva – vorrei illustrarne brevemente le ragioni.
La lingua è prima di tutto bisogno di comunicazione. Non a caso i testi più antichi sono spesso lastre epigrafiche o stele cui rinviano anche il carattere maiuscoletto e la spaziatura da me scelti per la rubrica. Inoltre ricordo che il primo documento della lingua italiana in volgare proviene dall’ambito giuridico-cancelleresco (il placito di capua, 960 d.C.) nel quale era prassi – come usa fare ancora oggi in burocrazia – apporre il sigillo per suggellare l’importanza di ogni atto scritto. Da qui la scelta, quale richiamo alle origini della lingua italiana ma anche all’ attuale e perversa mercificazione della parola che la svilisce, del timbro da me proposto.
Ma la lingua – come testimoniano queste mie razzate verbali – è anche desiderio di espressione. Un impulso che quando si realizza la sintesi fra invenzione e coscienza critica genera quella letteratura “materiale e civile” inadatta a sottrarsi alla funzione d’interpretare poeticamente la condizione umana del proprio tempo. Come hanno fatto – e seguitano a fare per chi continua a leggerli – Dante e Leopardi, considerati non a caso fra i più grandi linguisti italici.
San Giovanni V.no, 2002 III 27