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Arno

   L’antichità del nome – Arni – è attestata da un’epigrafe umbro-etrusca ritrovata quasi trent’anni fa ai confini dell’Alta Valtiberina con il Casentino, esattamente a Toppole nelle vicinanze di Anghiari. L’importanza è invece testimoniata dal termine Arniesi con cui in un libro stampato a Venezia alla metà del secolo XVI continuavano ad essere chiamati i Toscani.

   Ciò rimanda all’origine mitologica secondo cui Ercole (singolarmente il primo bronzetto rinvenuto nella favissa etrusca del Monte Falterona da cui il fiume prende l’avvio) spianò come un’arcaica e potente “autorità di bacino” le vallate intorno all’Arno riducendole all’alveo del fiume (Arna).


   In realtà durante questa mitica e incessante opera di scavo in una buca vicino alla “fonte della pecora” (arne) la Terra aveva tentato di nascondere uno dei figli per sottrarlo alla voracità di Crono. Tentativo riuscito all’Arno che seguita a buttarsi quotidianamente in mare perpetuando – come l’uomo con la vita – l’irriducibile vanità della sua fine.

 

   Nel suo antro la maga Circe, secondo i versi danteschi del Canto XIV del Purgatorio, avrebbe invece trasformato i Valdarnesi di allora in animali bruti e feroci. Incantati, come gli abitanti attuali di ogni altra «misera valle» degna di perire, dalle menzogne fitte e ronzanti (arnie) dei falsi “teleoracoli” d’oggi. Indifferenti ai rari e preziosi responsi distillati a caro prezzo dai poeti veri, unici indovini sicuri rimpiattati fra gli spigoli delle loro “celle di rigore” o negli anfratti delle loro buie miniere aurifere.