Idoli & Guardiani

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(scritti da un ciclo di “oggetti-sculture”)

AVVERTENZA

Di questo lavoro, diviso in tre parti, è stata la “consanguineità” dei manufatti arcaici e degli oggetti polimaterici moderni protagonisti della narrazione, se non di un transito certo di una visita a più riprese in uno studio di artista, a convincermi di inserire idoli & guardiani fra i “racconti di viaggio”.

Escursione di cui la prima parte costituisce il “resoconto giornalistico”, così come la seconda rappresenta la proposta espositiva di questo ciclo di “oggetti-sculture”. Una collezione di neo-tesori attorno alla quale si snoda la «storia d’invenzione in forma narrativa» che occupa la terza e ultima parte dell'opera.

Mesi fa lavoravo ai testi di un libro di fotografie sugl’incendi dei pozzi petroliferi alla fine della «guerra del Golfo Persico» del 1991. Già magistralmente filmati da W. Herzog e fotografati da S. Salgado, una compagnia petrolifera americana aveva commissionato a vari autori un volume (rimasto in attesa fino all’anno scorso e poi, per chissà quali misteri di mercato, mai edito) che documentasse i danni ambientali provocati da un simile disastro. Rassicurando in tal modo l’opinione pubblica statunitense riguardo la «sensibilità ecologica» della compagnia – garanzia questa anche della sicurezza dei propri impianti – ma anche rinforzando il periodico rinnovo di ostilità internazionale nei confronti di chi aveva dato allora fuoco ai pozzi.

Poiché i tempi prescritti dal contratto erano piuttosto stretti avevo deciso di continuare il lavoro anche durante il breve soggiorno termale in cui approfitto per osservare da vicino campagne di scavi che poi «racconto a modo mio» nelle riviste letterarie alle quali collaboro.

Mi trovavo quindi, verso sera, sulla terrazza dell’albergo quando […] il cameriere mi portava insieme al caffè ordinato un plico postale. Una grande busta gialla [che] conteneva un’istantanea scattata di lontano, perciò quel che s’intravedeva non era molto. Sembrava trattarsi di cataste di membra e arti sparsi sul pavimento scortecciato di una fabbrica dismessa. Mucchi che, sebbene scarsamente visibili, sprigionavano un’attrazione irresistibile. Una forte inquietudine, sebbene ancora ben lontana dal turbamento intellettuale e dalla commozione estetica provati, anni prima, alla vista dei fratricidi tebani nei frontoni di Pyrgi e Talamone come, più tardi, da quella delle marmoree stragi d’innocenti dei Pisano e quelle affrescate di Giotto. Replicate, ingrossate e aggiornate in tempi più recenti non solo nei lager ma anche nelle strade di mezzo mondo.

Avevo quindi cercato sul tavolo, fra lo strato delle riproduzioni dei pozzi incendiati, la lente per ingrandire la foto dietro la quale, però, appena sfilata dalla busta gommata, ne compariva un’altra. Un’istantanea che mostrava in primo piano proprio una di quelle cataste di membra all’ammasso frustate e leccate da una gelida lama di luce che – infilati i vetri rotti e aguzzi di un finestrone – sciabolava dentro l’opificio abbandonato.


   Ora non avevo più bisogno di alcun ingranditore: la fotografia era eloquente. Ciò che osservavo non era altro che un cumulo di rosei pezzi di manichini evidentemente prodotti in altri tempi in quella fabbrica.

[…] Non appena tornato a casa ero andato a trovare Marco Fidolini nel suo studio per […] assistere alla realizzazione dei NEO-OGGETTI RASENI toccati via via da una sempre più sicura e inventiva perizia. Oltre che dalla ludica e tragica mano di un pensiero che mi ha portato a poco a poco a riconoscere – nei corpi lucido bituminosi segnati dalle plastiche sgargianti o nei resti serrati da protesi, sfregi spietati e ghigni strozzati – l’inattesa, quanto verosimile testimonianza degli effetti di quel disastro ambientale che la compagnia petrolifera americana aveva deciso inopinatamente di trascurare. Forse perché interessata a fiancheggiare e sostenere l’attuale mondo vincente che – capace di abbattere muri ma non di scavare con cura fra le loro preziose macerie – pare sempre più impegnato a favorire uno spaventevole, sistematico e «anestetico processo di necrosi umana». Degenerazione e impoverimento a cui ci è dato debolmente di resistere grazie anche a opere come queste di Marco Fidolini le quali, ostinandosi a risalire da «un certo abisso che ha interrotto la vita e la coscienza», si rendono oggi finalmente visibili e godibili.

Maggio 1998

 

nota alle epigrafi

In questa sezione del resoconto ho cercato di raccontare in sintesi le forti impressioni provate recandomi periodicamente nello studio-laboratorio di Marco Fidolini dove ho avuto il privilegio di assistere a varie fasi della costruzione dei NEO-OGGETTI RASENI.

In realtà ogni volta, pur risalendo le scale, avevo la trepida e goduta sensazione di entrare davvero in un arcano neo-ipogeo nel quale ero sicuro di trovare ad aspettarmi – sparsi sul banco di lavoro pronti per essere ricostruiti o appena finiti – nuovi e preziosi “pezzi” di quel corredo principesco che stava venendo alla luce sotto i miei occhi.

Non è stato quindi agevole condensare in poche righe i rilasci spanti da questa importante neo-collezione rasena (a cui appartengono anche le opere pittoriche e grafiche del magico realismo clinico dell’artista). Perciò l’uso di “didascalie epigrafiche” - impresse su lastre trasparenti munite di metalliche viti angolari - mi è parso forse il più adeguato, di sicuro il meno invadente per la presente proposta, del tutto mia personale, di allestimento espositivo.

 

Busto-femminile-vulcente   Fidolini-Canopo-offerente

epigrafe1-lunga

 

Giovane-offerente 
 
epigrafe2-lunga