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Caro Sauro,

torno a scriverti di nuovo dopo aver accumulato molti pensieri da comunicarti. […] Essendo rimasta turbata prima dalla tua lettera (non mi soffermo in frasi di circostanza, so che non te ne frega niente), poi dalla partenza di Carlo, mi sono appoggiata quasi con naturalezza, come non avessi aspettato altro, al clima per rimanermene in casa da sola. Sola per modo di dire perché ancora per un po' ho dovuto penare a portare avanti l'esame di stratigrafia che dovevo dare e che è andato, per fortuna, molto bene. Poi, finalmente, mi sono lasciata andare dedicandomi, chissà perché, con grande slancio a “rammendare” i momenti sfilacciati della memoria che hanno segnato il nostro disinibito sodalizio giovanile. […] Ti ricordi quando di soppiatto scappavamo dalle veglie del giardino delle case popolari per calarci, sudati, lungo il viottolo nascosto tra le piante, nel greto dell'Arno. Ci spogliavamo quasi subito e tu tagliavi la luce della luna per richiuderla tra le dita messe a becco d'aquila e sulle quali soffiavi poi imitando un vento severo col quale cercavi d'impaurirmi mentre, già scalza, mi mettevo a correre sui sassi. Più volte, ricordo, sono stata sicura di portarmi dietro con le mie corse anche la notte. […] Ma, più spesso, ricordo […] come fossimo stati impegnati in qualche spedizione misteriosa in terre mai percorse prima. […] Tutte le estati ci si spingeva fino allo stroscio e tentavamo la traversata fin sotto l'alberata con la stessa tensione di chi avesse risalito un corso d'acqua sconosciuto. Ci mancava la zattera ma ci si muoveva con lo stesso spirito di Tom Sawyer (il primo grande libro che, a turno, leggevamo capitolo dopo capitolo). Guardavamo all'argine opposto, quello di paese, come ad un molo lontano, così distante da legittimare i più oscuri pericoli. […] Quante volte sei venuto a bussare alla mia camera per andare all'Arno a fare il bagno nelle nuovissime buche che avevi scoperto durante il giorno? Io ogni volta t'aprivo, certa che m'avresti convinta come sempre a seguirti.

   Non è una voce di rimpianto quella che cerco di trasmetterti ma è tutto un mondo che non posso fare a meno di ricordarti e che sorprende nelle sue pieghe più profonde anche me. Soprattutto perché come una fucina la nostra immaginazione era sempre al lavoro. Quasi ogni settimana ci raccontavamo, pur stravolgendoli, i libri che leggevamo. Anch'io come te (e come potrebbe essere altrimenti!) mi sono preparata la mente “all'acqua battuta dai sassi” perciò ora non riesco a soffrire con sdegno.

  Preferisco affidarmi ai nostri ricordi che, per fortuna, le tue lettere e la mia intatta fantasia preservano dalla corruzione. Essi mi lasciano sia la possibilità del tormento sia quella della salvaguardia e, forse, proprio per questo riesco a supplire alla rabbia e alla delusione. Del resto, a ben guardare, non sono più sola di quanto non lo fossi prima, quando c'era Carlo. Ma c'è una cosa che riesco solo vagamente a percepire. È un'insolita sensazione di frattura, una spaccatura che non riesco a riempire. È come stessi vivendo una morte in corso, che sta sgretolando, un po' alla volta, i contorni del mio paesaggio senza, però, mai finire del tutto.[…] Come uno spretato vorrei conoscere finalmente le mie rinunce ma questo desiderio si scontra con la fedeltà all'amore che, nonostante tutto, è ancora dura a morire. L'unica, preziosa concessione sono le visite ai nostri ricordi pieni d'affetto. Per questo ti chiedo di rimanere ancora alla finestra a guardare. So che lo farai.

Emma

Certaldo 20 3 1980