La semina e il raccolto

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(dalla Premessa)

  L’argomento essenziale di cui si occupa il testo è lo stato umano presente. Una condizione critica che si curano di narrare, ognuno a suo modo e secondo un preciso ordine di successione, le sei brevi novelle e l’apologo favolistico conclusivo. Così come vi contribuisce l’esempio linguistico-letterario che segue, prima prendendo le mosse dall’antica filosofia greca e poi poggiando, per analogia di accadimenti, su illustri antecedenti romanzeschi. Al pari dei danteschi contrappassi (titolo del primo testo saggistico dell’opera) che, concretizzandosi ormai da decenni negl’inferi dell’ordinaria realtà comune, regolano la nostra vita quotidiana. Una situazione umana la cui interminabile drammaticità appare ancora più tragica ed efferata poiché sembra ogni volta, a seguito di qualsiasi crisi o di qualunque avvenimento invero straordinari (pandemia, guerre, catastrofi naturali ed altro), ricominciare daccapo come indica il titolo della seconda riflessione. Un incongruo contrasto che è anche oggetto portante del ragionamento finale (contraddizioni) sul sistema economico-politico dominante le relazioni sociali quanto soffocante ogni proprio e libero soffio di esistenza individuale.

 

  Il primo racconto, La ricerca, ha il suo perno nello “stato di sospensione” per nulla metafisico né metaforico bensì tremendamente concreto poiché esige la stasi di gran parte sia dei progetti privati sia delle attività pubbliche. Nulla può invece opporre al corso ineluttabile della vita ai cui giorni in fuga il protagonista del racconto è costretto fatalmente come tutti ad affidare sia l’attesa snervante della fine del contagio sia la speranza del futuro scampato pericolo. Una minaccia e una prospettiva che egli non è più capace di sopportare e quindi decide di sfidare e di anticipare vivendo una serie di serrate quanto prevedibili conseguenze dalla inopinata evoluzione conclusiva.

  […] La seconda novella, Il duo giacché i due protagonisti sono compagni nella vita e nella professione musicale, riparte dalla causa alla cui morsa il personaggio principale della prima ha inteso seppur fugacemente sfuggire. Un isolamento al quale è stato deciso di sottoporre la marea d’infetti trasferendoli in un luogo […] adatto e sicuro al loro confino [dove seguitano ad abitare] perlomeno quelli che riescono prima a sopravvivere al contagio e poi alla spietata manovra di cancellazione di ogni sua traccia. Ossia il duo che – assunto il significato di coppia resistenziale, quanto residuale, donna-uomo – trova opportuno riparo nella struttura di segnalazione notturna troppo importante per il traffico marittimo per essere abbattuta e alla quale, comunque, qualcuno deve pur accudire. […] Un intervento che induce i due a […] decisioni disumane […] che solo la femmina possibile vincente sull’infezione potrà giustificare quale generatrice di vita.

  Una donna – o perlomeno la sua più alta e sacra rappresentazione cattolica – pare essere anche il pretesto che muove e conclude, in forma di statua in metallo della Madonna, il terzo racconto dal titolo, L’abbraccio, tanto suadente quanto invece efferato. Un’ambivalenza che però è possibile cogliere e svelare soltanto […] alla continuazione di tutto come sempre, se non peggio di prima, da parte di tutti. Una iterazione insoluta, anzitempo dimentica e incautamente avventata, che […] la maggior parte seguita consapevolmente o indirettamente ad assecondare e ad accrescere tranne il fabbro protagonista del racconto. […] Egli infatti, sia per l’usura del lavoro che per l’aumento degli anni scemanti, non è disposto a sopportare più nulla né a perdonare più nessuno di un mondo capitale di cui non fa più parte. Una fiera e sofferta esclusione ai responsabili della quale […] destina la condanna non di un’immolazione volontaria bensì di un’esecuzione tanto colpevole quanto inespiabile.

  Una pena imposta dal posto di lavoro a cui il più giovane della famiglia protagonista della quarta novella – intitolata Il dramma poiché narrante una rappresentazione teatrale in due atti – non può assolutamente rinunciare anche perché il luogo, rinviante per contrasto all’isola del secondo racconto, gli assicura la speranzosa possibilità di sfuggire all’imminente contagio del quale proprio lui stesso manifesta i primi sintomi quando sta per uscire di casa. Ovvero da un ordinario appartamento in cui al congedo premonitore del figlio si accompagna l’arrivo dell’infezione che di lì a poco comincerà a palesarsi anche nei maturi genitori. Ma in forme così strane e inaspettate da escludere qualunque isolamento individuale e rendere invece indispensabile la presenza reciproca. Una condizione che, alla rapida diffusione di un contagio tanto particolare, diventa obbligata anche per il pubblico che nel finale del racconto da spettatore di un’invenzione teatrale diviene attore del proprio dramma reale.

  Una situazione che agl’inizi del quinto racconto, L’ipogeo, si presenta già tragica poiché la città – concentrato emblematico e totalitario dell’epidemia globale – è abitata solo dal silenzio dei cittadini scomparsi e dall’inerzia dei cadaveri sparsi sia all’aperto nelle vie e nelle piazze sia al chiuso delle case e degli appartamenti. Perfino il folto e vario consorzio dei nani – che pure si era rivelato immune all’infezione quanto il reticolo sotterraneo delle fogne dalla sua invisibile causa – l’aveva abbandonata preferendo riparare e muoversi a proprio agio «in quel labirintico ipogeo della rete dei servizi […] i cui fitti e bassi cunicoli se impedivano ogni spazio per altre opere permettevano invece ad essi le consuete attività quotidiane.». Un reticolo sotterraneo in cui la “comunità nana” […] avrebbe voluto inizialmente ospitare i nuovi abitanti che avevano ripreso a riempire e a percorrere come morti scampati e spettri erranti la città. Salvo desistere non appena resasi conto di non essere in grado di sostenere il rischio di mettere probabilmente a repentaglio la sopravvivenza della sua stessa popolazione. [Quanto quella nel] modesto appartamento del protagonista della sesta ed ultima novella, Il seguito, di questa minuta ma densa raccolta. Un alloggio attorniato dai palazzi degl’incivili proprietari dei “cani di famiglia” padroni con i loro latrati delle vie e dei marciapiedi […] della città nella quale non cessano ormai di succedersi periodi d’isolamento più o meno lunghi e severi a seconda della velocità e della diffusione del contagio. Un’infezione universale che non avendo alcuna soluzione di continuità seguita a provocare […] colpevoli e imperdonabili lesioni permanenti in un tempo presente di cui la maggior parte dei suoi occupanti sembra addirittura impegnata solo a perdere la memoria così da poter perpetuare la propria fine interminabile seguita, per giunta, a sempre più tragici momenti.

  Una serie d’intensi sprazzi drammatici dei quali […] qualcuno dotato della capacità e dell’esperienza per farlo prova a ricomporre la contronaturale corrispondenza delle loro cause protratte e dei loro solleciti effetti. Come fa l’anziano narratore protagonista, con la coppia parentale dei suoi fanciulleschi interlocutori, de Il cane spia che ne prolunga e perpetua, […] in forma di apologo favolistico, lo sviluppo dei temi e dei contenuti. […] Un modello di rivolta e di libertà per tutta la famiglia dei canidi ribellatasi al predominio della razza umana che sconta il drammatico ridimensionamento del proprio potere con la sola esclusiva sopravvivenza della sua prole infantile. E se ciò da un lato è il segno inoppugnabile di fiducia nell’avvenire […] dall’altro la conclusione non è affatto rassicurante poiché oscilla fra l’oscura incertezza umana («senza capire se avessero sentito le sue ultime parole…») e il manifesto primato della natura («una notte illuminata a giorno dalla luna e occhieggiata dalle stelle.»).

  Alle oscillazioni del “pendolo del tempo” che segna anche l’attraente percorso della storia delle parole […] fa riferimento l’interludio linguistico-letterario (Monatto) che […] occupa da solo la parte seconda del libro. Testo unico ma non isolato poiché […] serve a raccordare le invenzioni narrative che lo precedono con le riflessioni interpretative che lo seguono [e nelle quali] la pandemia ha contribuito a rimarcare quali e quanti siano i contrappassi che da tempo regolano l’inferno ordinario della nostra vita quotidiana.

  Un presente talmente capace di perpetuarsi da fare in modo che la maggioranza degli esseri umani che lo abita e lo mantiene così com’è non possa, non debba o non voglia accorgersi del vuoto espanso in cui galleggia e dell’inutile abbondanza nella quale affonda. Ossia, […] non si renda conto […] di una situazione umana in cui la reiterata denuncia, fin dal titolo (daccapo), della seconda riflessione può corrispondere ad ogni speranzosa aspettativa e al contempo favorirne il cronico fallimento.

  Una stridente antinomia che nella riflessione finale (contraddizioni) è additata fin da subito come l’ennesimo imperdonabile, e sempre più irrimediabile, segno di «una mancata conciliazione col mondo» il quale però non smette mai d’indurre relazioni indirette, tanto pericolose quanto dagli effetti duraturi, quali per esempio fra i mutamenti del clima terrestre e le varianti della pandemia universale. Rapporti che non sono affatto resi impossibili – anzi per certi versi esso li rafforza – dal fatto che i cambiamenti del primo si avvalgono di tempi lunghi per fare poi danni irreversibili per tutti. Mentre invece breve è l’incubazione virale e rapida la diffusione del contagio che però, sebbene fattore o concausa purtroppo di molti morti, almeno fra i tanti vaccinati non ha prodotto al momento conseguenze gravi. In ogni caso certamente assai meno di quelle, ben più permanenti e invincibili, che seguita a infliggere l’attuale invariabile sistema economico-finanziario mondiale dominante quanto distorto e avverso alla natura vera dell’autentica vita umana. .