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Pandebellum

Questo articolo nasce dall’esigenza di ribadire la convinzione che la lingua è la sola autentica patria di ciascun uomo, così come la letteratura che ne è il miglior prodotto è, al pari di quello di ogni altra arte, l'unico linguaggio veramente universale rivolto a tutti gli uomini che la sanno leggere e appartenente a chi la ritiene necessaria a vivere in salute e in pace. In ciò risiede pure la ragione del testo che fin dal titolo - neologismo composto dalla parola greca pandemia (‘di tutto il popolo, che appartiene a tutti’) e da quella latina bellum (‘guerra’) - ha uno scopo ben preciso. Ossia quello di rappresentare in sintesi l’infezione globale e l’attuale conflitto russo-ucraino accorpando in un solo lemma, pandebellum per l’appunto, l’accostamento e l’utilizzo di due parole (monatto concernente il contagio e arsenale (1) riguardante la contesa slavo orientale) inserite nella raccolta in corso intitolata Verbaio. Divagazioni linguistico-letterarie.

 

MONATTO

  […] Per la verità questo vocabolo ha un’origine piuttosto discussa. Ad ogni modo è sicuro che la sua accoglienza e sopra tutto la sua risonanza linguistiche scaturiscono, secondo la migliore tradizione italiana, dall’uso letterario che ne ha fatto Alessandro Manzoni nelle famose pagine de I promessi sposi dedicate alla peste durante la quale la maggior parte degli addetti al trasporto degl’infetti e dei morti proveniva dalla Svizzera e, in particolare, dal Cantone dei Grigioni. E ciò spiegherebbe, secondo alcuni, non solo la discendenza ma anche il compenso di monatto derivante dal lessico economico-militare da cui origina il tedesco monathlich (un tempo ‘mensuale’ ed oggi ‘mensile’). […] Se tuttavia si ricorre ai significati più antichi di monatto […] si può riandare fino al latino monēre, ‘ammonire, preannunciare’. Un’accezione duplice che comunque rinvia in ambedue i casi all’ambito milanese. La prima rimanda infatti al clima culturale che poi ha influenzato anche la formazione di Manzoni e che ha il suo emblema nel Monitore italiano, periodico nato dalle tante aspettative presto deluse suscitate dalla Rivoluzione Francese. Invece la seconda significazione - che in effetti ha il senso sia di monito sia di avvertimento - si riferisce direttamente ai monatti provvisti nel romanzo manzoniano di campanelli che ne annunciano l’arrivo, così come oggi l’ululato sinistro delle sirene quello delle ambulanze.

 

   A questo proposito se si viene a considerare la pandemia cominciata nel 2020, allora il titolo e il compito della rivista milanese di fine Settecento possono essere sostituiti dai monitor dell’informazione televisiva sovrabbondante e della funzione informatica dilagante. Quasi che la telecomunicazione fosse l’unico habitat rimasto disponibile alla specie umana nonché l’esclusivo settore produttivo non soltanto immune dalle perdite economiche dovute all’epidemia ma il solo a beneficiarne in termini di ascolto e numero di connessioni. Come se in tutti questi anni di mutazioni genetiche e ambientali forse irreversibili, oltre che d’irresponsabili genocidi culturali perpetrati tra l’ignoranza e l’indifferenza generali, le loro “reti” non avessero concorso a diffondere il contagio infittendo le loro maglie che alla fine hanno catturato anche quelli che più hanno contribuito a gettarle o a tenderle. In qualsiasi luogo e in qualunque momento, così che durante la suddetta pandemia tanti cittadini del neo-impero globale non riescono a scamparla, parecchi per debolezza congenita (i provenzali monaut ‘malnati’), altri per malattie acquisite ma troppi convinti che sempre «abibunt in vanum monentium verba». Ovvero che se fatalmente “riusciranno inutili le parole degli ammonitori” - i quali cogliendo il senso nascosto di quel che è sotto gli occhi di tutti e nessuno vede sono invece capaci spesso di prevedere perfino ciò che ancora non è in vista - allora continuerà ad essere inevitabile non poter sfuggire alle conseguenze d’ogni sorta di contagio presente e futuro. Un castigo, tornando in conclusione a I promessi sposi, prima represso dal monatto nei confronti di Renzo e poi aizzato e perseguito dalla folla isterica («l’untore! […] dagli all’untore!»).

 

ARSENALE

  Sebbene i tragici avvenimenti bellici di questi mesi l’abbiano resa più attuale, e perfino esclusiva, l’accezione militare di arsenale non è ovviamente l’unica. Se poi premettiamo al lemma in oggetto la parola latina di origine indoeuropea ars questo significa che non si può rinunciare a delinearne l’itinerario linguistico-letterario senza riferirsi all’arte della forza poetica con la quale Dante Alighieri fa dell’arsenale veneziano («arzanà de’ Viniziani») il perno della bolgia dei barattieri nella Divina Commedia (Inferno, Canto XXI, vv 1-21). In effetti l’Arsenale di Venezia […] era un complesso di costruzioni e di attività delle dimensioni e dello sviluppo di una grande fabbrica moderna. Non per nulla sia arsenale sia darsena derivano dal termine arabo ‘dar as-san’, ovvero luogo di costruzione in particolare di naviglio. Del resto rimanendo nell’ambito delle “repubbliche marinare” anche gli arsenali pisani […] erano stati costruiti nell’area detta, da altro adattamento della suddetta parola araba, Terzanaia poi conosciuta come Cittadella o Fortezza.

  […] Ma tornando a quello veneziano è stato credibilmente calcolato che nel lungo periodo di sua massima espansione vi fossero occupati oltre cinquemila lavoratori, i cosiddetti arsenalotti che costituivano anche la guardia personale del Doge che nulla poté opporre […] all’imperial-regio esercito absburgico che nei primi otto mesi del 1798 distrusse completamente l’Arsenale di Venezia riducendo perfino il Bucintoro a scheletrica prigione di forzati rilasciati poi dal carcere per fungere da rematori nelle galere della Serenissima.

  Una pena, insomma, scontata con un’altra che rinvia nuovamente a quella dei barattieri infernali ispirata a Dante dall’«arzanà de’ Viniziani». Una potente e serrata similitudine che fa leva tutta sul motivo centrale della pece di cui il poeta prende in considerazione tanto il colore («e vidila mirabilmente oscura.») quanto l’infiammabilità («bollia là giuso una pegola spessa,»), ma sopra tutto la vischiosità che la rende essenziale, […] alla sicurezza delle flotte marine («a rimpalmare i legni lor non sani, […] che ‘nviscava la ripa d’ogni parte.»). Un pregio dovuto alla lavorazione […] di quella sostanza molle e appiccicosa ottenuta dalla cottura delle bacche e delle foglie [...] la quale - spalmata su fuscelli detti panie - era usata un tempo nell’uccellagione a cui sfugge però il carducciano stormo di arzagole levandosi in volo e agitando in aria le ali come l’artimone la sua vela. Un movimento continuo e duraturo […] quasi al pari dell’incontenibile e capricciosa vitalità del coetaneo arzigogolo, magari finanche fiducioso di mantenerla anche negli anni di un’arzilla vecchiaia in grado di sopportare la desolante arsura della bolgia planetaria in cui è immerso, attore pagante e spettatore gratuito di un presente infernale, ogni cronico uomo odierno artefice della propria sorte come del destino altrui.

 

(1) Il testo di questa divagazione linguistico-letteraria è stato pubblicato integralmente in riContemporaneo.org n°18 , aprile 2022, p. 8.

 

24 IX 2022