Premessa e conclusione *

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 La premessa e la conclusione alle quali alludo nel titolo sono quelle della vita umana di cui intendo ragionare qui tramite due opere d’arte d’inizio e di fine Quattrocento, ossia la Natività o Desco da parto di Masaccio (1427-1428 ?) e il Ritratto di vecchio con bambino o nipote di Domenico Ghirlandaio (1490), alle quali devo ammettere di essermi accostato per circostanze legate alla mia città natale. Infatti della prima tempera su tavola è provata la presenza nel 1834 a San Giovanni Valdarno in casa della famiglia Ciampi, della seconda tempera si ha invece errato indizio della sua ottocentesca permanenza nel palazzo sangiovannese della famiglia Corboli (1).

 […] Ciò mi ha indotto ad approfondire, seppur tramite riproduzioni fotografiche, le impressioni ricavate dalla loro visione purtroppo soltanto su carta. Indugio e sviluppo dell’osservazione che, ancora prima di posarsi e di esplorare la qualità unica e indispensabile a stabilire il valore di ogni opera d’arte, si sono mossi dal mio interesse per i temi scelti, i personaggi e gli ambienti adoperati per raffigurarli. Ovvero l’avvio delle premesse della vita preannunciate dalla nascita raccontata nella tavola di Masaccio e l’approdo alle sue conclusioni ritratto nella tavola di Ghirlandaio.

 Fin dalla nascita però i presupposti, non potendo essere che tanti e speranzosi, mutano in sconfinate promesse che, alla sinistra del dipinto masaccesco, un trombettiere provvede ad esaltare con tutto il fiato che gli gonfia le gote e senza alcun timore d’irrompere, con il dritto strumento e lo stendardo sventolante, nell’andito centrale della casa che un altro sangiovannese, Mario Salmi, definisce opportunamente «di gusto brunelleschiano». Un gesto dal quale il suonatore è talmente preso da non accorgersi né di chi accanto lo guarda quasi spaurito né di chi lo segue un po’ intimorito con i regali in mano. Tantomeno pare rendersi conto – o se ne infischia, quasi che il suo lungo corpo d’ottone anticipasse il naso di legno di Pinocchio (2) – dell’occhiataccia e dello sguardo accigliato che gli rivolgono una suora e una donna del corteo femminile che transita dal portico di mezzo per entrare nella camera, a destra del tondo dipinto, della puerpera circondata dalle sue assistenti.

 Prima però di passare in rassegna ogni singola scena rappresentata in ciascuno dei tre ambienti vale la pena soffermarsi, pur discostandosi un po’ ma tornandovi poi dal tema portante della nascita, proprio sulla costruzione dell’impianto pittorico. […] A cominciare dalla tripartizione – scandita a sinistra dalle colonne rotonde e a destra dalla prima squadrata e dal muro del portico – della composizione ideata in una terna di riquadri affini a quelli delle predelle che, nel caso di Masaccio, richiamano quella del precedente e da secoli smembrato Polittico di Pisa. […] Quale “genere” migliore, quindi, per narrare in tono quotidianamente discorsivo tale fatto mondano se non quello della predella?

 In realtà più del racconto della “striscia” – di cui colonne, parete e arcuarsi del tondo spartiscono le sequenze a colori – l’occhio sembra attratto da altri aspetti oltre che da particolari dettagli della tempera dipinta sulla tavola tonda. Ad esempio […] nella scena centrale il filare delle colonne a sinistra e l’allungarsi del muro a destra; la successione in alto degli archi e dei tiranti sopra i capitelli; in basso il muretto aperto sul davanti e la balza della parete di fondo. Così come nella scena a sinistra l’invenzione prospettica prosegue nei mezzi archi e nei tronchi ferri dietro al gruppo raccolto e convenientemente disposto dei personaggi omaggianti ed offerenti. Ugualmente a ciò che avviene a destra dove la fine dell’infilata prospettica, costituita da un arco cieco traversato da un legno da cui penzola un’impannata a coprire il muro finale, si raggiunge mediante la graduale scansione dei piani verticali suggerita dalla disposizione delle donne sparse e affaccendate dentro la stanza del “lieto evento” frutto del duro travaglio (3).

 […] Un binomio quest’ultimo incomprensibile e arcano, pari solo a un accoppiamento contro natura, quanto inscindibile dalla vita umana che lo trascina con sé – sino alla chiusura del proprio cerchio che perfino la forma circolare del tondo dipinto richiama – come un marchio a fuoco indelebile i cui effetti perdurano addirittura in un dono cerimoniale benaugurante qual è un vassoio da parto. Analogamente a tutte le grandi pitture di Masaccio anche nel Desco non c’è infatti figura, ad eccezione forse del neonato inconsapevolmente e doverosamente fiducioso, che esuli da una ferma serietà e accenni a un pur minimo sorriso. Un severo e sobrio rigore terragno scosso appena dall’avvento di una nuova vita la quale però non scalfisce l’invariabilità dell’esistenza umana.

 […] Un destino che nel verso del Desco parrebbe veramente arridere al bimbo se, ormai cresciuto e dipinto da presunta mano diversa da quella masaccesca sicura autrice della testa, sembra accostarsi spensierato a ruzzare con un cagnolino come parrebbe voler fare con il nonno il bambino del Ritratto di vecchio con nipote di Domenico Ghirlandaio. […] Mentre invece si discostano nettamente i gesti che hanno a che fare con la figura del bambino. […] Contrariamente ai riferimenti dei primati storici secondo cui se il Desco di Masaccio ha inaugurato la pittura su tondo, il Ritratto di Ghirlandaio sembra essere l’unico quadro rinascimentale con un soggetto simile. […]. Asserzione che se accredita l’uso e il godimento privati del dipinto non sminuisce certo il suo profondo e universale significato umano imprescindibile, lo ripeto, dalla qualità dell’opera qui eccelsa nel ritratto dell’anziano (eccellenza di soggetto mantenuta più tardi anche da Tiziano e da Rembrandt) e minore in quello del bambino. Proprio come nel caso del suddetto Putto masaccesco dal quale si può immaginare prenda le mosse il nipote ghirlandaiesco che, leopardianamente allontanandosi dai sollazzi puerili all’avvento del vero, si accosta al nonno risalendone con una mano il petto e la testa fino a incontrarne prima le labbra, appena piegate forse nel cenno d’un sorriso, e poi gli occhi malinconicamente paghi. Uno sguardo che sebbene provato si mostra benevolo e intenerito nonché preso e assorto nell’illusione momentanea di fermare, assecondando l’ascesa dell’abbraccio infantile, la fuga o la rotta del tempo.

 Anche il nipote però, dopo aver fatto rinascere il nonno (4), compie un altro manifesto prodigio. Egli infatti seguita a condurre la sua indomita “scalata”, indifferente all’azzurrina prominenza montuosa sullo sfondo ma non alla protuberanza nonnesca, per nulla intimorito bensì incuriosito e attratto dalla deformazione nasale dell’anziano parente. Un interesse naturale spinto da un irresistibile desiderio di conoscenza la quale ogni volta che si rivela desta immancabilmente un’inevitabile e profonda sorpresa qui espressa nella sua bocca dischiusa di bimbo. […]

 Comunque sia è ancora una volta – e sarà sempre così sebbene oggi ciò appaia morto e sepolto – la qualità dell’opera a testimoniare l’autenticità dei contenuti su cui nel caso specifico è opportuno nuovamente soffermarsi in conclusione. Una verità umana custodita nella fatale attrazione delle speranze dell’infanzia – segnalate dal naso all’insù e dalla cascata di riccioli biondi, appena contenuta dal rosso caschetto, sulle piccole spalle – verso la vecchiaia dal volto rugoso e i capelli brizzolati. Una sorte comune di cui se non l’imbiancarsi certo il chiarore del paesaggio, visibile attraverso l’esatto squarcio riquadro della finestra, rinnova la reiterata immutabilità.

 

* ll presente articolo è la nuova redazione, nel titolo, nell’estratto e nella prima nota, del precedente (Prove e indizi) qui pubblicato in data 2 aprile 2018.

(1) In effetti si tratta di un’indicazione smentita da un libro primonovecentesco (MASACCIO. Bernardo Seeber Libraio-Editore, Firenze 1904) nel quale è presente la riproduzione d’una fotografia dell’Alinari del Ritratto di un anziano senza altre figure «e che […] anticamente era posseduta dai Corboli». Ovviamente non è solo l’unico personaggio dipinto a impedire di confondere l’opera con quella raccontata in questa sede. Basta infatti il primo sguardo a escludere l’allora attribuzione a Masaccio assegnandone invece la paternità a Filippino Lippi con la quale figura oggi nella Galleria degli Uffizi e, quindi, ammettendone solo la possibile contemporaneità con il Ritratto di vecchio con nipote di Ghirlandaio. Comunque sia, tale “scambio di pitture” non mi pare contraddire il tema portante (l’umana sorte comune dalla nascita alla morte) di questo articolo.

(2) Se si volesse proseguire sulla via di tali suggestioni, all’invenzione collodiana (1883) si potrebbe perfino aggiungere il gesso dipinto de Il naso (1947) uscente dalla “gabbia” eseguito da Alberto Giacometti.

(3) A sottolineare tale sotteso intento dinamico sembrerebbe contribuire anche la successione numerica delle figure presenti: quattro nella scena a sinistra, cinque in quella centrale e sei nella scena di destra.

(4) In un disegno preparatorio, già nella collezione grafica di Giorgio Vasari e ora al Museo di Stoccolma, il vecchio appare con gli occhi chiusi ribadendo in tal modo quanto l’anzidetta accezione di lavoro preliminare sia davvero riduttiva ed oggi impensabile ma anche come possa essere probabile che l’uomo ritratto fosse già morto al momento dell’esecuzione del quadro.

15 IV 2018