Il testo presente (sunto e adattamento di un altro più ampio e informativo) è un contributo al dibattito sulla relazione fra la materia prima (la lingua italiana) e il prodotto finito (la letteratura italiana).
Un rapporto assurto a questione secolare periodicamente rinnovata se si considera la storia linguistica e la storia letteraria nostrane. Un percorso segnato, come si sa, da una felice “anomalia” o feconda contraddizione incarnate da Dante Alighieri che, dopo avere condannato nel De vulgari eloquentia tutti i volgari italiani compresi quelli toscani, ha usato magistralmente le parole del fiorentino nella Commedia.
[…] Però soltanto nel secolo XVI la lingua italiana di matrice letteraria ha assunto, gradualmente e in maniera sempre più stabile, quelle funzioni civili di strumento politico la cui summa è costituita, a parer mio, da Il Principe di Niccolò Machiavelli. […] Una lingua, insomma, che nessuno ha imposto ma che ha prevalso grazie all’autorevolezza e alla fama della letteratura. […] Malgrado ciò, o forse grazie a questo, l’Italiano è rimasto per altri secoli una lingua minoritaria fino all’avvento del Regno d’Italia. Infatti solo con l’unificazione italiana ha avuto inizio un processo poi svolto, fra il XIX e il XX secolo, contando sia sulla primiera scolarizzazione obbligatoria delle aree urbane e delle zone rurali – accompagnata in seguito dalla coscrizione nazionale – sia sulla prima ondata migratoria verso i maggiori centri metropolitani d’industrializzazione del regno.
Un’espansione che, linguisticamente parlando, fra le due guerre mondiali è avvenuta potendo avvalersi per “il parlato” della presenza della radio, così come per quanto riguarda “lo scritto” della dilatazione di canali d’informazione differenziati (giornali, riviste e libri “popolari”). Ampliamento di fonti e messaggi linguistici di massa che ha avuto un lesto acceleramento con la comparsa della televisione e sopra tutto con la sua diffusione che hanno dato un forte contributo alla “nazionalizzazione” della nostra lingua comune.
[…] Purtroppo dagli anni finali dello scorso millennio, la struttura unitaria e il carattere condiviso dell’Italiano sono, per così dire, sotto tiro. Sottoposti, cioè, a continui attacchi interni ed esterni tali da poter provocare danni seri, se non già irreversibili, a quei fili e a quei nodi che una lingua intreccia a comporre in ogni civiltà l’indispensabile rete di relazioni fra gl’individui e le loro comunità.
[…] Fra il 2006 e il 2010 in Europa la maggiore quantità di brevetti presentati presso l’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) e da essa rilasciati è stata scritta in Italiano e Olandese. La lingua italiana, insomma, è oggi fra le prime nel campo europeo delle invenzioni tecnico-scientifiche. Così come lo è stata per secoli nell’ambito dell’invenzione letteraria in cui è ancora oggi in parte riconosciuta oltreconfine. […]. Ma quanti compatrioti potrebbero dire che vale la pena imparare la lingua e studiare con passione la letteratura italiana? L’unica risposta ancora oggi adeguata è nel racconto di Giovanni Rosini riguardante una passeggiata pisana con Giacomo Leopardi: «[…] e dopo la conferma che Virgilio più che Omero avea dato al suo stile quella tinta di verità, che tanti pochi possedono; [Leopardi] si soffermò […] e dopo un momento di silenzio: “Quanti credi, mi domandò, che siano adesso in Italia capaci di ben comprendere il magistero di quel mirabile stile? […] Volea risponder io pochi più di cento, ma m’interruppe dicendo: “Amico mio, né pur venti».
15 V 2016