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(da INCHIOSTRO. La filiera di un racconto: LA CURA)

 

Il racconto "La cura" di Sauro Largiuni ha come protagonista un personaggio al quale vengono prescritte cure termali e per queste si reca in uno stabilimento per sottoporsi alle terapie e alla vita sociale a cui deve inizialmente acconsentire. […] Il protagonista sembra a prima vista non avere troppa urgenza di contatti umani in occasione di condivisioni sociali. Per esempio quando in una cena, la prima, viene sollecitato da un cameriere a prendere posto in un tavolo comune con altri selezionati clienti dell’albergo per relazionarsi e rendere più piacevole il soggiorno. Invece non gli si presenta nessuna occasione per uno scambio appagante, anzi più il tempo passa e più si sente in imbarazzo. Ne deriva una frustrazione che sembra andare oltre l’occasione conviviale, fino a voler testare la sua capacità di ascolto e di essere ascoltato da persone sconosciute che avrebbe potuto incontrare in una passeggiata o, comunque, durante la ricerca di una comune motivazione a socializzare ma che purtroppo rimane insoddisfatta. […]

Decide così di abbandonare l’albergo facendo una camminata apparentemente tranquilla nei dintorni. Ma la descrizione della sua uscita, delle sue emozioni e del crepuscolo a cui sembra andare incontro (la lezione di Mann è qui particolarmente evidente) è in realtà prodròmica di un colpo di scena. Egli, infatti, trova quietamente rifugio accanto ad una pieve e riposandosi […] fulmineamente – alla vista di una monofora in facciata – si presenta il ricordo di un Natale d’infanzia con un successiva riemersione al tempo presente prima di entrare definitivamente nella chiesa. Qui, alla visione improvvisa di una statua lignea, sembra dissolversi la sua inquietudine fino a sprofondare in un altro sogno o nella realtà di un numinoso nano storpio che proprio da una penombra reale o immaginaria brandisce una lama di coltello cui seguono e si propagano da un altoparlante grida di sevizie.

Queste vicende reali o immaginarie sembrano replicare al proprio sé in una sorta di fine presagita o solo immaginata […]. Pertanto il racconto […] sembra voler prendere vari sbocchi ma anche principalmente uno solo: quello del racconto introspettivo. E quando la visione si rovescia in introspezione tutto assume una nuova luce. L’image-souvenir della visione nel nano suscita nel protagonista un ritorno introspettivo presago di una minaccia ma anche di un nuovo percorso da fare dentro o fuori di sé. Il racconto è sospeso e sembra che a un certo punto ci voglia suggerire, come già Calvino in "Se una notte d’inverno un viaggiatore", che siamo proprio noi lettori a dover proseguire il cammino. […] Di conseguenza bisogna introdurre una considerazione finale, spesso sottaciuta dalle teorie critiche e letterarie: la funzione del lettore privilegiata in questo racconto. Egli coopera pur sempre con l'autore implicito suggerendo tracce che non si è autorizzati a eludere e pertanto, vuoi per l'iconicità della storia spesso condensata nel potere delle immagini vuoi perché il finale è sospeso, si deve per forza riportare il tutto a un primo piano autoriale. Qui presente con un lessico e uno stile assai incisivi e personali, negando perciò la portata apparentemente allusiva e libera del racconto in una sorta di decodifica obbligata che è determinata all’interno della scelta aggettivale e lessicale dalla visione etica che l'autore imprime con molta determinazione. Un ancoraggio morale, quasi contrario alla leggerezza calviniana delle lezioni di Harvard, determinante una visione filosofica, un pensiero forte, ancorché letterario, del mondo che apparentemente il racconto sembra eludere. […] ma che invece risente di tutti gli incubi visionari e le domande inquietanti che non possiamo non farci o che non vogliamo semplicemente porci. Qui il dubbio non è soltanto al centro dell’intreccio ma finisce per avere anche un posto centrale nella filiera che, ce lo auguriamo, non cessi mai di esistere.

 

Daniele Montagnani

16 II 2016