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(indivisibili)

Conclusioni (su Frana) - Il valore della singolare capacità descrittiva finisce per essere un ostacolo alla lettura. Non si riesce a orientarsi, a mettere a fuoco l’intero affresco. Come diceva Léger “troppo colore nessun colore”. Una pregevole qualità di scrittura che si muta in intralcio alla struttura narrativa del romanzo, innescando quei depistaggi che avevo segnalato anche ne Il Falconiere e sui quali insisto reiteratamente, e fino alla noia, in molte annotazioni.

 

Se gli innesti descrittivi fossero dosati con parsimonia e meno ingombranti esalterebbero il vigore oggettivo dell’occhio che sa ben scrutare ogni scansione e recesso del reale. E questo vale anche per la vena poetica e psicologica delle descrizioni. Secondo me [occorrerebbe] rendere più agevole la narrazione attraverso una semplificazione della struttura generale limando gli eccessi descrittivi e i relativi intrecci della narrazione in modo da restituire respiro al lettore. […] Insomma [dovrebbero essere] meglio esaltare le qualità (possedute) lasciando al lettore l’agilità di orientarsi con minore fatica in un labirinto narrativo che spesso nasconde la traccia del filo di Arianna. In ultima analisi, penso che solo un terzo del libro sarebbe stato sufficiente a legare unitamente la storia ed evitare così le molteplici interruzioni del filo narrativo.

 

Schede [di Album] – […] Non ne trovo la giustificazione. Inoltre, in qualche caso, si avverte una sorta di artificio saggistico-letterario che non ha riscontro oggettivo nella specularità del romanzo e rischia l’esercizio letterario (o, se si vuole, “l’arte per l’arte“). Forse se il tutto fosse stato rappreso in poche pagine e senza una gabbia tesa a spiegare con ostinazione e dilatata diligenza ogni passaggio, come se fosse il margine di una nota (fra l’altroil tuttotroppo vincolato al riflesso soggettivo-autobiografico), probabilmente il contributo critico avrebbe avuto una sostanza saggistica di altra utilità e rilievo.

Marco Fidolini 

5 I 2013